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La valutazione funzionale del paziente adulto con esiti di ictus può sicuramente rifarsi alle principali tecniche usate a secco (metodi di rieducazione neuromotoria come il Kabat, Bobath, Perfetti) lasciando molto spazio ad obiettivi che solo con il supporto dell’idrokinesiterapia potranno essere raggiunti.

Immaginiamo un paziente in acqua: se non si conoscono a fondo le leggi fisiche dell’acqua il comportamento motorio patologico del corpo in immersione e le tecniche di rilasciamento possibili in acqua, si rischia di rinunciare al trattamento e nei casi di peggiore di darne una controindicazione: per questo la terapia individuale effettuata da un professionista specializzato è fondamentale.

I principali quadri clinici derivanti da ictus da noi osservati su un soggetto adulto sono da lesione piramidale, la classica emiplegia, o cerebellare ovvero dopo che la fase acuta dell’ictus era regredita le manifestazioni motorie si andavano ad organizzare non come emiplegia ma come gravi disturbi dell’equilibrio anche con quadri misti di atetosi.

Per fare ordine alla trattazione che segue partiamo dalla considerazione che l’emiplegia dell’adulto, a prescindere se di origine ischemico od emorragico, non si presenterà mai allo stesso stato funzionale poiché le aree cerebrali interessate sono diversamente colpite e le manifestazioni patologiche anche sullo stesso soggetto non saranno le stesse a seconda del tempo trascorso dalla fase acuta; di conseguenza non potremo mai affermare categoricamente che è indicata o meno la terapia in acqua.

Non essendoci molta cultura e molta bibliografia riguardante tale argomento i pazienti cominciano tardi con l’idrokinesiterapia, spesso troppo lontano dal periodo acuto o subacuto.

Altra considerazione da fare è che l’acqua in questo contesto deve essere sempre vista come integrazione o supporto al lavoro neuromotorio a secco, a meno che il paziente a causa del peso o della cronicizzazione della patologia tragga maggior vantaggio nella terapia di mantenimento con l’idrokinesiterapia.

OBIETTIVI TERAPEUTICI:

in relazione all’esperienza degli ultimi 30 anni in acqua possiamo considerare in concreto il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

  • ridurre la spasticità;
  • lavorare sulla spalla dolorosa o rigida nelle lesioni piramidali;
  • enfatizzare il lavoro sul tronco;
  • lavorare sull’area cognitiva, maggiormente le emiplegie DX e sulle sincinesie;
  • equilibrio;
  • cammino funzionale.

La maggior parte degli esiti da ictus da noi osservati di origine piramidale con spasticità, raramente sono con ipotonia prolungata o distonici, mentre capita che alcuni pazienti a seguito dell’ictus, abbiano problemi di equilibrio che si manifestano con atassia.

Vediamo lo studio effettuato su 9 casi nell’ultimo anno: 5 oltre 65 anni, 4 in età giovanile (dai 29 ai 45 anni). Di tutti 3 presentavano disturbo di equilibrio (atassia) e 6 sindromi piramidali: 6 affetti da esiti a SX e 3 a DX, il periodo medio di trattamento è stato 4 mesi.

TEST USATI

Coerenti agli obiettivi sopra indicati, i test eseguiti a secco sono molto semplici e prettamente di natura funzionale, considerando che la maggior parte dei pazienti sono venuti almeno dopo due anni dall’esordio dell’ICTUS.

Il test è stato riproposto e paragonato ai precedenti dopo un periodo di due mesi di idrokinesiterapia con frequenza bisettimanale.

TEST “A SECCO” (si contrassegna con un SI oppure un NO)

Elevazione anteriore dell’arto superiore colpito ? SI NO
Abduzione dell’arto superiore colpito ? SI NO
Autonomia: passaggio da seduto (da un’altezza di 50 cm.) alla posizione in piedi ? SI NO
Deambulazione (test eseguita con il dispositivo BAIOBIT) ? SI NO


TEST IN ACQUA

Galleggiamento con ciambelle sotto i glutei ? SI NO
Posizione eretta senza appoggi con acqua all’altezza dello sterno ? SI NO
Movimenti spontanei dell’arto superiore ? SI NO
Movimenti spontanei dell’arto inferiore ? SI NO

 

COME SI REALIZZANO GLI OBIETTIVI

  • ridurre la spasticità: come in tutte le paralisi cerebrali la muscolatura coinvolta da spasticità è quella antigravitaria, ovvero i flessori per gli arti superiori e gli estensori per gli arti inferiori (catene muscolari statistiche). La forza di gravità quindi è di per sé concausa di un aumento del tono posturale, in acqua il deficit della muscolatura statica tende ad evidenziarsi, come se l’immersione effettuasse un “effetto di amplificazione” rendendo ancora più asimmetrici i due emilati: per questo motivo a seconda della gravità, la possibilità di richiesta attiva di movimento può risultare un insuccesso.

Le manovre di mobilizzazione in acqua effettuate dal Fisioterapista associate alla respirazione lenta e costante, mirata prevalentemente sui blocchi respiratori determinati dalla paralisi dei muscoli accessori, possono attenuare nel tempo la spasticità e favorire i movimenti attivi.

  • il problema della spalla dolorosa o rigida è quasi sempre temibile nel paziente emiplegico adulto.

La tecnica usata dal Fisioterapista per sbloccare la spalla è quella di contrazione-rilasciamento assistita dalla spinta idrostatica (questa tecnica di rilasciamento è un adattamento alla fisica dell’acqua di un principio neuromotorio usato in neuroriabilitazione, il riflesso miotatico inverso).

L’acqua dà la possibilità di lavorare sulla spalla con meno stress e con il dolore attenuato, e favorisce le mobilizzazioni; in tutti i pazienti emiplegici trattati si è riusciti a liberare la spalla nei movimenti di flessione e abduzione fino a 90°; risultato considerato sufficiente per renderla funzionale (particolarmente per la vestizione e igiene personale).

  • il lavoro sul tronco è l’obiettivo primario nel lavoro dell’emiplegico, poiché è sempre al centro di ogni rieducazione neuromotoria sia a secco che in acqua.

In acqua è molto semplice eseguire la mobilizzazione del della colonna, ma in particolare è utile lavorare sull’equilibrio di questa struttura portante per eccellenza. In galleggiamento è possibile anche effettuare piccoli esercizi di dissociazione tra il cingolo scapolare e quello pelvico in modo lento ed associando correttamente la respirazione.

  • Anche la rimessa in carico progressiva è utile per svolgere esercizi di equilibrio sul tronco. Raramente vengono richiesti esercizi basati sulla forza, poiché scatenano sincinesie (contrazioni involontarie) e vengono predilette le posizioni inginocchiate e intermedia con acqua nassa (al torace o all’ altezza dell’addome
  • lavorare sull’area cognitivo-motoria è spesso l’obiettivo principale in acqua insieme al precedente descritto (la colonna). Il lavoro, se ben eseguito oltre che coinvolgere correttamente l’emilato colpito in una sequenza motoria corretta permetterà di controllare le sincinesie. È particolarmente utile per le emiplegie DX con problemi di neglect e per le atassie con deambulazione latero-laterale. Le posizioni selezionate per il lavoro di controllo delle sincinesie e il tipo cognitivo sono la seduta, l’inginocchiata e l’intermedia con l’acqua all’altezza delle ascelle.
  • Lavorare sull’equilibrio: sui pazienti con lesione piramidale l’equilibrio viene trattato simultaneamente con gli esercizi sul tronco, con quelli di tipo cognitivo e controllo delle sincinesie. Più interessante è sugli esiti di tipo atassico, ove l’acqua può considerarsi l’elemento di rieducazione per eccellenza, infatti l’ambiente tridimensionale, la densità del liquido che rallenta i movimenti favorendo l’apprendimento della sequenza motoria, il galleggiamento con le perturbazioni, l’assetto non sempre perfetto sono tutti elementi che se ben sfruttati e messi in relazione alla biomeccanica patologica del soggetto in immersione, possono creare numerosi impulsi per l’equilibrio statico che dinamico. Inoltre i pazienti con disturbi di equilibrio, non avendo problemi prevalenti di spasticità e sincinesie, hanno più possibilità di effettuare un lavoro attivo. I tre pazienti (su tre) che presentavano a secco la deambulazione con lateralità dominante dal lato sano (per problemi di neglet) hanno rapidamente corretto questa tendenza mediante gli esercizi di galleggiamento (verticale e supino).
  • cammino funzionale: proporre la deambulazione in acqua ai pazienti con emiplegia è molto difficile, realizzabile solo in quelli con un buon tronco e spasticità contenuta. Per questo motivo è quasi sempre sconsigliato nei casi più gravi; sono invece utili gli esercizi che costruiscono la sequenza del cammino, in posizione inginocchiata, intermedia, eretta, supina e dove possibile prona con maschera e snorkel. Tutti gli esercizi proposti sono quasi sempre statici con respirazione lenta, con controllo delle sincinesie e con molta propriocettività, elemento di notevole importanza. Gli esercizi attivi vanno condotti con lentezza e sotto l’effetto della spinta idrostatica, con movimenti ritmici. Il comportamento di una emiplegia grave al tentativo di appoggio al fondo della vasca è caratterizzato dall’impossibilità di vincere la spinta idrostatica (diretta dal basso verso l’alto), viceversa l’emiplegia lieve riuscirà a poggiare il piede al suolo. I pazienti con esiti di ictus con componente esclusiva di equilibrio invece riuscivano a deambulare ma in particolare nell’acqua più alta e con la base di appoggio tipica dell’atassico (a base allargata).


DISCUSSIONE DEI CASI

Lo studio ha previsto un periodo di trattamento di 4 mesi di media, con 3 valutazioni di cui una iniziale, ed una cadenza regolare di 2 mesi i soggetti esaminati sono stati 9.

L’età di 5 di loro era superiore ai 63 anni, in 4 variava dai 29 ai 45 anni. Di tutti 3 con sindrome atassica, 6 con sindrome piramidale, tutti avevano avuto nella fase acuta insorgenza con emiplegia di cui 6 a SX e 3 a DX, ma solo 6 con emiplegia prolungata e 3 evoluta in atassia con lievissime sfumature asimmetriche.

All’esordio (acuto) sesso età esito inizio trattamento
1. P.P. emiplegia SX F 29 emiplegia SX spalla rigida 4 mesi
2. E.C. emiplegia SX M 65 emiplegia SX spalla rigida 18 mesi
3. M.S. emiplegia DX M 45 emiplegia DX spalla rigida neglet 36 mesi
4. M.P. emiplegia SX F 53 emiplegia SX spalla rigida 24 mesi
5. P.T. emiplegia SX M 65 emiplegia SX spalla rigida 24 mesi
6. B.A. emiplegia DX M 44 emiplegia DX spalla rigida neglet 18 mesi
7. G.V. emiplegia SX M 78 atassia e neglet 24 mesi
8. O.B. emiplegia SX M 70 atassia e neglet 30 mesi
9. D.R. emiplegia SX F 34 atassia e neglet 12 mesi

CONCLUSIONI

SPALLA: sui 6 casi si è ottenuto 1 recupero totale 5 con elevazione ed abduzione a 90°.

NEGLET: su 5 casi, 4 i recuperi, 1 no per problemi di comprensione dovuti all’afasia mista

PASSAGGI POSTURALI: da seduto alla posizione in piedi, da circa 50 cm., su 9 esaminati, 2 già li eseguivano, 2 gli insuccessi, 5 sono riusciti successivamente.

DEAMBULAZIONE: 2 non deambulanti, 7 deambulanti con ausili, di questi ultimi, 6 sono migliorati 3 riducendo l’ausilio (dal tripode al canadese o bastoncino) 2 senza ausili, 1 invariato.

SPASTICITA’ E RIGIDITA’ ARTICOLARE: sui 9 casi 5 presentavano tale problema, tutti con riduzione a fine trattamento (successo totale) particolarmente il tronco.

Dr, Fulvio Cavuoto
Fisioterapista